Poggio “Reale”, paese senza oggetti
Quando l’ho conosciuto nel 2014, Vincenzo Zancana disegnava sedie. Ceramolle, cianotipia, gumprint… e sedie, nei laboratori di Brera, che venivano stampate su immagini di case abbandonate.
Mi ha spiegato poi che si trattava delle foto di un paesino terremotato nell’entroterra siciliano, che non erano solo sedie, ma anche lampadari, tavoli, porte, che lui ricollocava là dove erano una volta, prima del terremoto.

Dopo qualche anno che non ci si incrocia più nelle aule dell’Accademia, sono andata a trovare Vincenzo nel suo insolito laboratorio di Cinisello Balsamo per farmi raccontare meglio la storia di quel luogo, e, soprattutto, la sua storia con quel luogo.
Vincenzo non è annoiato nel parlarmi di un progetto ormai concluso, perché, nonostante gli anni passati, lo sente ancora proprio, dato il legame che questo ha con la ricerca artistica che è ancora in atto.

È nel ‘68 del secolo scorso che la valle del Belice viene colpita da un violento evento sismico. Tra i paesi coinvolti c’è anche Poggioreale, un tempo uno dei più fiorenti della valle. Ora ridotta ad un paesino di un migliaio e mezzo di abitanti, mentre la gran parte dei vecchi poggiorealesi è emigrata in Australia dopo il disastro.
Non è solo il terremoto a causare questo fuggi fuggi, ma anche l’approssimativa gestione politica che porta ad una distrazione dei fondi a favore di comuni che dal terremoto sono stati appena sfiorati. Non è l’inagibilità a svuotare il paese, ma l’interesse economico nel costruirne uno nuovo. Non è solo l’inevitabile a rattristare i vecchi poggiorealesi, ma il rancore di un abbandono forzato.La convinzione diffusa è che “I tempi d’oro di Poggioreale non torneranno mai più”.

Sono andato a intervistare gli abitanti e il sindaco – mi racconta Vincenzo – da qui ho fatto un sopralluogo con le persone ancora viventi, andando a chiedere dove abitassero. Ho scoperto che il nonno di una mia amica e compaesana era di Poggioreale, quindi sono stato lì con loro. Mi ricordo come lui raccontava le cose, si vedeva che l’aveva vissuto. È stato molto forte, perché non era mai rientrato lì. Erano passati 40 anni e lui non aveva più rivisto casa sua. Perché ai tempi era bambino, quindi i genitori sono rientrati per recuperare i beni primari e poi non sono tornati più.
Questo è stato davvero suggestivo.
Tutti mi hanno mostrato le loro case, descrivendomi l’ambientazione.
Poi ho fatto tantissime foto, tante tante, più di mille. Ne ho selezionate 8 per la riproduzione delle ambientazioni.
È molto semplice, mi sono limitato nella riproduzione di oggetti semplici come un comò, un lampadario, una sedia. Quello che per me rappresentava il ricordo di queste persone che vivevano lì. Del fatto che un tempo il paese fosse abitato e che poteva essere ancora abitato.

Oggetti che non nascondono la manualità dell’artista, crudi nella loro monotonalità. Si appoggiano sulla foto senza nasconderla. Se non fosse per questi oggetti, staremmo osservando solo delle belle foto di “archeologia contemporanea”. Invece ci troviamo davanti ad una domanda aperta sull’abitare, come se non fossero le macerie, i solai aperti, i tetti crollati, le pareti divelte a determinare l’”inagibilità” di questo posto, ma l’assenza di lampadari, banchi, letti a rendere gli spazi non più salotto, non più aula, non più casa.

La risposta di Vincenzo non è diretta, c’è ancora spazio per immaginare quel luogo. Questa è la sua Poggio “Reale”, un viaggio nel tempo sintetizzato in un’immagine, dove c’è un prima, rappresentato dal disegno, che nel dopo, che è l’ora, non c’è più. Un’esperienza narrativa di ciò che era e che ora non è più.
Questo mi porta a domandarmi cosa ci sia nel mezzo, tra il prima e il dopo. E mi lascia nell’attesa passiva di quello che sarà: l’accoglienza di un futuro che su questo luogo non ha alcuna pretesa, che non siano i ricordi, portati a galla occasionalmente da qualche turista di passaggio.

www.vinzancana.com
NOTE SULL’AUTRICE
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